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31/03/2020Nella casa del mondo: la riflessione del nostro Segretario generale

Il 29 novembre 2010 Roberto Saviano legge una poesia di Franco Arminio in prima serata su Rai 3 nell’ultima puntata di “Vieni via con me”, nel corso di un monologo sul terremoto dell‘Aquila del 2009. Ebbene, anche in questa drammatica vicenda del contagio da virus covid-19 sono rimasto colpito da una poesia di Arminio che ama definirsi “paesologo”.

 

Tutto ciò che non era nostro

è caduto, ora dobbiamo vivere

con ciò che ci resta,

ora sappiamo che la vita è enorme

anche quando è silenziosa e ferma.

Il sacro è tornato, è sacro

scrivere una lettera, aspettare un abbraccio

alla fine di questa sventura, parlare d‘amore, accompagnare qualcuno nel fiordo

della tua paura.

Sono giorni rari, sono giorni preziosi,

facciamo qualcosa per meritarceli,

in fondo è un privilegio essere qui,

ognuno a casa sua

ma tutti assieme nella casa del mondo.

 

“Ognuno a casa sua/ma tutti assieme nella casa del mondo”: è una grande verità che trasforma questi giorni in opportunità; giorni rari, preziosi, scrive il poeta. Noi della Fondazione Un Raggio di Luce ci abbiamo sempre creduto impegnandoci quotidianamente “nella casa del mondo”, “dove il bisogno c’è”, con un occhio di riguardo alle situazioni di emarginazione, alle donne e ai bambini, a chi è più vulnerabile. Sì, perché “la vita è enorme anche quando è silenziosa e ferma”.


In questi giorni tristissimi, impossibili persino da immaginare fino a poco fa, ci siamo scoperti per quello che siamo: fragili, indifesi, pieni di limiti. Ci credevamo immortali, o quasi. Ed è proprio in quanto convinti di essere diventati immortali e di vivere in una società ormai post-mortale, che ora, nel momento in cui acquisiamo coscienza della nostra condizione, ci troviamo irrimediabilmente catapultati in una situazione di angoscia. Inevitabile, persino logico. Umano, anzi. Siamo catapultati altrove, e non possediamo gli strumenti per decifrare quanto ci sta accadendo.


Eppure, ripensando ai progetti che la nostra Fondazione ha portato avanti nei suoi sedici anni di vita non possiamo esimerci dal richiamare alla memoria le centinaia di persone che in Nepal, in Burkina Faso, in Repubblica Centrafricana, in Eritrea, in Tanzania, in Brasile, in Italia e in tanti altri luoghi della “casa del mondo” abbiamo sostenuto e continuiamo ad accompagnare, e che situazioni drammatiche come quella che stiamo vivendo sono per loro all’ordine del giorno.


Dobbiamo pur confessare che il prezzo di questa pandemia lo stanno pagando soprattutto le persone più deboli. Paradossalmente, questa avversità che stiamo attraversando, rendendoci molto preoccupati di noi stessi, può per disavventura oscurare storie e storie, degli ultimi: quelli che non hanno accesso alle nostre cure o ai nostri interventi di aiuto. Le fasce più deboli sono in grave difficoltà, ma noi le ignoriamo: siamo presi da altri pensieri. Giusto segno di sensibilità mettere all’attenzione di tutti il lavoro indefesso e pieno di dedizione dei nostri medici, degli operatori sanitari, ma andrebbe riconosciuta la preziosità anche delle prestazioni di coloro che ci permettono di sopravvivere, spesso fasce deboli, che con il loro lavoro prezioso, donne e uomini, spesso invisibili, senza nome, sostengono la nostra sete di vita. Dobbiamo con una certa tristezza confessare che il coronavirus ha invaso con tale prepotenza la comunicazione che – ce ne rendiamo conto o no – sta cancellando storie più lontane, pagine inquietanti, tragedie dei nostri giorni. Basterebbe pensare alle donne, uomini, vecchi e bambini siriani, proprio in questi giorni incolonnati ai confini della Grecia, una processione laica di dolore infinito, che bussa alle porte dell’Europa e non trova che respingimento. Non vorrei che il coronavirus, al di là di una provocazione immediata alla solidarietà, non la rattrappisse in una solidarietà ristretta che non va a intaccare la mentalità purtroppo egoista, quella dei ‘nostri’, ‘prima noi’. Una solidarietà ferita, amputata e non aperta a chiunque abbia bisogno di cura e di speranza.


Anche Papa Francesco ci invita al discernimento per “trovare il coraggio di abbracciare tutte le contrarietà del tempo presente, abbandonando per un momento il nostro affanno di onnipotenza e di possesso per dare spazio alla creatività...; a trovare il coraggio di aprire spazi dove tutti possano sentirsi chiamati e permettere nuove forme di ospitalità, di fraternità, e di solidarietà” (preghiera per il mondo in tempo di pandemia – 27/3/2020).


E intanto nel nostro Paese la paura si sta trasformando in rabbia. Da più parti si levano grida d’allarme, richieste d’aiuto, proteste, si teme una bomba sociale. Proprio domenica 29 marzo la Coldiretti parlava di 2,7 milioni di italiani a rischio fame. Per non parlare di chi ha perso il lavoro, di chi non ha risorse per andare avanti. Non si può sottovalutare l’impatto economico delle misure varate dal Governo e il sacrificio richiesto a milioni di persone. Ma va tenuto presente che la riapertura – sostengono gli esperti - sarà un percorso decisionale tutt’altro che facile. Vuoi perché siamo il primo Paese dell’Occidente a dover compiere una scelta del genere, vuoi per la situazione che l’epidemia ha determinato in Italia. Chiudere è stato un atto dolorosissimo, ma paradossalmente più facile rispetto alla necessità di individuare i criteri per riaprire, per non pagare un prezzo troppo alto e non vanificare quello che si è fatto, lo sforzo congiunto del Governo, del Ministero della Salute con i suoi organi e delle Regioni, che hanno portato avanti un lavoro molto delicato.


E così, nel frattempo, a quanti reggono sempre meno le restrizioni imposte dal lockdown dobbiamo dare messaggi motivazionali. Anche perché le persone sono disposte a fare sacrifici se vedono e comprendono le ragioni per sostenerli. Ebbene: qui è in gioco la vita di tutti noi, soprattutto dei più fragili. Penso agli anziani, un patrimonio inestimabile eppure non considerato come si dovrebbe, ma anche ai bambini a cui rischiamo di ledere i diritti con l’imposizione di divieti e restrizioni.


Noi della Fondazione Un Raggio di Luce, nel frattempo, pur nei limiti imposti dalle restrizioni, continuiamo a lavorare come sempre per sostenere e accompagnare comunità svantaggiate “nella casa del mondo”, ancora più attenti, ora, ai bisogni della nostra comunità di appartenenza, la nostra città, Pistoia, in cui promettiamo di incrementare in futuro il nostro impegno: “Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti. Nessuno si salva da solo” (Papa Francesco).


Cristiano Vannucchi

Segretario generale Fondazione Un Raggio di Luce

 

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